Alzheimer: sintomi, cause, cure e test per il morbo

Consulente Scientifico:
Dottoressa Jessica Zanza
(Specialista in farmacia)

La malattia di Alzheimer è la forma più diffusa di demenza nell’età avanzata, il che la rende anche una condizione molto temuta. Solo il nome fa pensare ad una perdita di memoria, di ricordi e quindi di vita. Ma come si presenta la malattia, e come la si può affrontare? È possibile curare l’Alzheimer?

    Indice Articolo:
  1. Caratteristiche
  2. Cause e fattori di rischio
  3. Sintomi
  4. Diagnosi
  5. Cure

Caratteristiche dell’Alzheimer.

La malattia di Alzheimer (AD, Alzheimer’s Disease), neurodegenerativa e a carattere progressivo, in Italia affligge oltre un milione di individui.

Nell’immaginario collettivo l’Alzheimer è immediatamente associato alla perdita di memoria: in realtà questo è soltanto uno degli aspetti della malattia, poiché anche le altre funzioni cognitive, quali il ragionamento, la pianificazione, il linguaggio, la capacità di orientarsi nell’ambiente e così via, vengono irrimediabilmente compromesse, e la persona affetta mostra inoltre disturbi dell’umore e del comportamento.

Una volta che i sintomi diventano evidenti si sopravvive in media 8-10 anni. La morte è provocata dalle complicazioni conseguenti alla distruzione del tessuto cerebrale.

Spesso si tende a confondere l’Alzheimer con il normale “perdere colpi” che sopraggiunge man mano che si invecchia, ma nel caso della demenza il declino interferisce in maniera pesante con la quotidianità, facendo perdere all’individuo la sua indipendenza.

Alterazioni cerebrali dell’Alzheimer

La malattia modifica il cervello essenzialmente in due modi.

Le placche senili situate nell’ambiente extra-cellulare, sono costituite da un nucleo centrale e da una regione periferica.

Il nucleo centrale è formato da:

  • proteoglicani
  • aggregati di proteine insolubili, come la APOE e la β-amiloide.

Il ptide β-amiloide (Aβ) è il principale componente della placca. Origina da una proteina transmembrana (cioè che attraversa la membrana cellulare) chiamata APP o proteina precursore dell’amiloide, quando questa viene tagliata dall’enzima β-secretasi (BACE), prima, e γ-secretasi, poi. Dalla suddetta operazione di taglio nascono due forme di β-amiloide:

  • Aβ40
  • Aβ42, la forma prevalente nelle placche.

Poiché le secretasi sono enzimi normalmente presenti, resta da capire se la β-amiloide abbia anche un ruolo fisiologico, e se sì quale.

La regione periferica circonda il nucleo della placca, e in essa sono presenti:

  • assoni distrofici, i quali hanno assunto un andamento alquanto tortuoso. Sembra che siano da correlare alla neurotossicità indotta dalla β-amiloide
  • astrociti iperattivi
  • microglia, le cellule immunitarie specifiche del sistema nervoso centrale.
Si sospetta che la β-amiloide favorisca:
  • la degenerazione dei neuroni
  • i disordini della neurotrasmissione, cioè del passaggio di informazioni tra un neurone e l’altro grazie a molecole chiamate neurotrasmettitori.

Diversi studi hanno dimostrato che questo peptide non danneggia il cervello solo attraverso le placche, ma anche grazie all’aggregazione in oligomeri solubili (molecole con 2-12 subunità di Aβ); secondo alcuni autori gli oligomeri di β-amiloide sarebbero addirittura i principali responsabili del danno sinaptico e neuronale.

In base alle nostre conoscenze, l’accumulo delle placche è il primissimo evento patologico della storia naturale dell’AD. Per questa ragione non si possono mettere in relazione le placche con la gravità della patologia, visto che tale accumulo inizia anche molti anni prima dell’esordio clinico, per poi giungere a un livello stabile nella fase preclinica (MCI) o nella fase iniziale della demenza.

Le prime zone in cui si registra la formazione di placche sono le aree associative della corteccia cerebrale. Le aree associative sono quello che si trova tra l’arrivo del segnale sensitivo e la partenza del comando motorio. Sono ciò che ci consente di:

Successivamente viene coinvolto il sistema limbico, del quale fa parte la formazione ippocampica. Essa è implicata nell’apprendimento e nella memoria

Infine, anche le formazioni sottocorticali (ad esempio il cervelletto) vengono interessate dall’accumulo.

I grovigli neurofibrillari sono degli aggregati localizzati nel citoplasma dei neuroni. Il principale componente dei grovigli è la proteina tau iperfosforilata, che si ritrova anche negli assoni distrofici posti alla periferia delle placche senili.

La proteina tau è una componente essenziale del citoscheletro dei neuroni. Si lega ai microtubuli in modo che si dispongano paralleli fra loro: si crea una fila ordinata, una specie di nastro trasportatore sul quale si spostano:

  • organelli cellulari

  • nutrienti

  • neurotrasmettitori etc.

Questo sistema di trasporto è molto importante per la vitalità dei neuroni.

La proteina tau di norma esiste in due forme, fosforilata e non fosforilata, in equilibrio tra loro; equilibrio che si spezza nell’Alzheimer, poiché prevale la proteina tau iperfosforilata che si ritrova nei grovigli. Viene a mancare ciò che rendeva stabile il sistema dei microtubuli e perciò anche il suo ruolo di trasportatore, ed è assai probabile che sia questo evento a causare la neurodegenerazione.

Secondo alcuni studi, gli aggregati del peptide β-amiloide promuovono la fosforilazione della proteina tau.

La misura della quantità e della distribuzione dei grovigli è un buon indice della gravità e della durata della demenza di Alzheimer.

L’accumulo della proteina tau comincia nella corteccia della formazione ippocampale per poi estendersi alla corteccia associativa cerebrale.

È interessante notare che - sia nel caso dei grovigli che delle placche senili - la corteccia motoria e le aree sensitiva primaria e visiva primaria risultano meno colpite rispetto a tutte le altre.

Angiopatia amiloide cerebrale (CAA) consiste nella deposizione di β-amiloide nella tonaca media delle arterie ; la forma principale, in questi aggregati, è la Aβ 40.

È un’alterazione che può contribuire al declino cognitivo osservato nell’Alzheimer.

La CAA è maggiormente frequente nelle arterie leptomeningee che nelle arterie corticali, e tra queste ultime è più facile riscontrarla nelle arterie parietali posteriori e occipitali.

L’angiopatia viene rilevata nell’80% dei pazienti con AD, ma non dà sintomi, a meno che non sia grave : in questo caso, la parete dei vasi può indebolirsi fino a rompersi, generando un’ emorragia rischiosa per la sopravvivenza.

La perdita dei neuroni è alla base dell’ atrofia corticale a causa della quale il cervello appare ridotto di volume e raggrinzito.

La morte dei neuroni segue uno schema sovrapponibile a quello della formazione dei grovigli neurofibrillari. Però, il numero dei neuroni degenerati è superiore: significa che esiste almeno un meccanismo di morte che non deriva dall’accumulo della proteina tau.

La perdita delle sinapsi, piccole regioni specializzate che consentono la comunicazione dei neuroni è di maggiore intensità rispetto alla perdita neuronale, fatto che suggerisce che la scomparsa dei contatti sinaptici inizi precocemente e sia seguita da quella neuronale.

Come se non bastasse, è stato notato che le connessioni tra i neuroni sopravvissuti sono poco efficienti.

Le vie di trasmissione sinaptica implicate nelle modalità d’insorgenza dell’Alzheimer sono più d'una, e includono

Disfunzione colinergica

I neuroni colinergici del cervello sono raggruppati in diversi nuclei, che vengono chiamati nell’insieme sistema colinergico basale del prosencefalo. Da qui partono fibre che raggiungono

  • la corteccia cerebrale, determinando la sua l’ attivazione (ossia aumenta l’eccitabilità dei neuroni corticali)

  • la formazione ippocampica, influenzando il consolidamento della memoria a breve termine.

Questi aggregati di sostanza grigia appaiono fortemente danneggiati nell’AD familiare e negli stadi avanzati dell’AD sporadico.

Nei pazienti con decadimento cognitivo lieve (MCI) e con demenza lieve, invece, i deficit sembrano essere causati da un disturbo della trasmissione colinergica, che si manifesta con:

  • riduzione del rilascio di acetilcolina

  • variazioni dell’assorbimento della colina (molecola di partenza per la sintesi del neurotrasmettitore)

  • alterazioni dell’espressione dei recettori - nicotinici e muscarinici - dell’acetilcolina.

Sono molte le evidenze che chiamano in causa la β-amiloide. Essa sarebbe capace di promuovere la disfunzione colinergica in diversi modi, ad esempio agendo

  • sull’ acetilcolinesterasi, enzima che catalizza la degradazione del neurotrasmettitore

  • sui recettori nicotinici α7, che pare siano fondamentali per la funzione mnemonica

  • sulla proteina tau favorendone la fosforilazione.

Disfunzione glutamatergica

Il glutammato il principale neurotrasmettitore eccitatorio del sistema nervoso centrale, e la formazione ippocampica presenta un’elevata densità di recettori per questo neurotrasmettitore. Ai fini della trattazione è utile nominare i recettori NMDA.

Potremmo definirli recettori “speciali”, perché si attivano soltanto nel potenziamento a lungo termine. In cosa consiste?

Quando è in corso l’ apprendimento di nuove informazioni o il consolidamento di un ricordo, si assiste allo sblocco dei recettori NMDA. Nella loro struttura è presente un canale per gli ioni calcio : l’aumento della concentrazione del calcio nel neurone post-sinaptico innesca una serie di risposte, per esempio l’aumento del numero dei recettori AMPA (un altro tipo di recettori per il glutammato) sul terminale post-sinaptico stesso. I neuroni coinvolti nel potenziamento diventano così parte di una via neuronale facilitata e saranno in grado di comunicare tra loro in maniera più efficiente.

È stato ipotizzato, a proposito dell’Alzheimer, che gli oligomeri di β-amiloide interferiscano con il sistema di blocco dei recettori NMDA, i quali lasceranno sempre passare un po’ di calcio nel neurone post-sinaptico. Di conseguenza:

  • si genera una sorta di “ rumore di fondo ” che impedisce di rilevare i segnali del potenziamento a lungo termine

  • quando la concentrazione citoplasmatica del calcio raggiunge un certo livello esso diviene tossico per le cellule.

Cause e fattori di rischio della malattia neurodegenerativa

La causa della demenza di Alzheimer è nota in una percentuale molto ridotta di pazienti (meno del 5%): si tratta della cosiddetta forma familiare della malattia. La stragrande maggioranza dei casi è affetta dalla forma sporadica.

L’ Alzheimer familiare è  determinato da mutazioni genetiche rare che vengono trasmesse con modalità autosomica dominante, e ciò vuol dire che basta una sola copia del gene mutato per sviluppare la patologia.

Nelle persone che ereditano queste mutazioni l’esordio della malattia di solito è precoce, prima dei 65 anni. Finora sono stati identificati tre geni che causano l’AD:

Questi geni hanno in comune la capacità di influenzare la formazione di β-amiloide, peptide che si trova in abbondanza in un cervello con l’Alzheimer.

Le cause dell’ Alzheimer sporadico non sono ancora note, tuttavia, siamo a conoscenza di una serie di fattori che, quando presenti, aumentano la probabilità di ammalarsi. Alcuni sono modificabili, altri no:

Nel corso degli anni, anche diverse sostanze e oggetti di uso comune hanno rischiato di far parte della lista dei fattori di rischio dell’AD. Scopriamone alcuni.

  • Vaccino anti-influenzale. Non ci sono evidenze scientifiche che questo, o altri vaccini, possano influenzare la probabilità di sviluppare la malattia di Alzheimer. A titolo di esempio citiamo uno studio pubblicato nel 2001 sulla rivista Canadian Medical Journal, nel quale venivano confrontati anziani che avevano ricevuto vaccini contro i virus dell’influenza e della poliomielite e contro i batteri della difterite e del tetano con anziani che non erano stati sottoposti a queste vaccinazioni: si è osservato che nel primo caso il rischio di Alzheimer era addirittura inferiore.
  • Alluminio. Nella vita di tutti i giorni siamo esposti a diverse fonti di alluminio (lattine, padelle, anti-acidi, deodoranti), ma sino a questo momento non è stata dimostrata la sua pericolosità in merito all’AD.
  • Otturazioni dentarie. In particolare sono state chiamate in causa quelle formate da una miscela di argento, rame, stagno e mercurio, che è il componente più rappresentato. Il mercurio è un metallo pesante del quale si conoscono gli effetti dannosi sul cervello e sugli altri organi. Sono stati fatti diversi studi - tra cui uno pubblicato nel 2003 sul New England Journal of Medicine - i quali hanno dimostrato che non esistono rischi ad usare questa amalgama per le otturazioni.
  • Aspartame. È un noto dolcificante artificiale. Basando le sue affermazioni su un gran numero di studi clinici e di laboratorio, nel 2006 l’FDA (Food & Drug Administration) ha ribadito che considera l’aspartame un prodotto sicuro.

Puoi approfondire gli effetti collaterali dell'aspartame.

Sintomi i 4 stadi della degenerazione cerebrale.

Chi viene colpito dal morbo di Alzheimer sperimenta disturbi di natura

Sono deficit che non si presentano tutti contemporaneamente e l’evoluzione della malattia può essere suddivisa in quattro stadi, ciascuno dei quali è variabile, a seconda del soggetto, per durata e quadro sintomatologico :

Stadio iniziale.

Questa è la fase in cui i problemi mostrati dalla persona affetta vengono sottovalutati e attribuiti all’invecchiamento, alla stanchezza e/o allo stress:

Vediamo in cosa consistono:

Esempi pratici

  • Terminato da poco di leggere un articolo sul quotidiano, la signora M. non ricorda di cosa parlasse.

  • La signora M. aveva prenotato un appuntamento dal dentista per oggi, ma si è dimenticata di averlo fatto, e in seguito non le è tornato in mente.

Esempi pratici

1. La signora M. si domanda: “È stato ieri o stamattina che ho incontrato mia nipote e il suo fidanzato al supermercato?”

2. La signora M. esce di casa a piedi per la sua abituale passeggiata nel quartiere: nel bel mezzo del tragitto si dimentica dove si trova e che strada prendere per tornare a casa.

Esempio pratico

È tanto tempo che i figli della signora M. sono cresciuti e andati a vivere altrove, ma ogni settimana la famiglia si riunisce, e lei prepara per l’occasione un pranzo costituito da quattro portate, senza dimenticarsi di dare un’occhiata al gatto di casa, il quale vuole anche lui mangiare e combina marachelle.

Da un po’ di tempo, però, la signora M. trova più faticoso e complicato gestire questa situazione, fino al giorno in cui gli ospiti arrivano e non c’è nulla di pronto.

Esempio pratico

L’Alzheimer porta la signora M. a perdere molto spesso i suoi oggetti, per esempio gli occhiali da lettura, anche perché a volte abbandona gli oggetti in luoghi inconsueti. Questa volta, però, si è resa conto che la sua amata catenina d’oro è scomparsa.

Avendo perso la memoria a breve termine, non è in grado di stabilire dove potrebbe cercarla.

Così, si convince che non riesce a trovarla perché qualcuno le ha voluto fare uno scherzo oppure rubargliela, per rivenderla o semplicemente per provocarle un dispiacere.

Stadio intermedio.

La persona affetta da Alzheimer ha ormai abbandonato il lavoro fuori casa (se ne aveva uno), e in casa ha bisogno di qualcuno che controlli il suo operato e che la aiuti a sbrigare le faccende più gravose. Non può uscire da sola, tantomeno guidare, per questioni di sicurezza.

Si assiste a un peggioramento dei disturbi preesistenti e all’insorgenza di nuovi:

Esempio pratico

La signora M. è in uno di quei momenti in cui si lascia andare ai ricordi. Comincia a raccontare:

“Mi ricordo ancora di quando avevo sei anni e sono andata in gita al lago. C’eravamo io, mio padre e tuo fratello. La nonna era incinta, quindi non è potuta venire”.

Esempio pratico

Prima dell’Alzheimer, la signora M. usciva di casa sempre elegante e profumata. Ora le capita sempre più spesso di non curarsi del proprio abbigliamento e della pulizia.

È capace di andare in panetteria e spendere tutta la sua pensione in buste di pane, senza preoccuparsi del futuro.

Stadio avanzato.

Nella terza fase dell’Alzheimer il malato ha bisogno di assistenza continua :

Stadio terminale.

Alla fine anche le abilità motorie, sia volontarie che riflesse, arrivano ad essere danneggiate.

Nell’ultima fase, il paziente di Alzheimer:

Quando una persona sta vivendo lo stadio terminale della demenza di Alzheimer, sono diverse le condizioni che favoriscono l’ insorgenza di infezioni :

Oltre alle infezioni secondarie, c’è un’altra complicanza che aumenta il rischio di morte: l’ embolia polmonare. Purtroppo, l’ immobilità è una condizione che predispone alla stasi venosa, e perciò alla formazione di coaguli di sangue nelle vene. Può accadere che uno di questi coaguli si stacchi diventando un embolo : l’embolo viaggia fino al cuore e viene pompato del circolo polmonare, dove può ostruire un ramo dell’arteria polmonare, o addirittura l’arteria polmonare stessa, se sufficientemente grande.

Diagnosi: i test per l’ Alzheimer.

L’unico modo per stabilire con certezza che una persona abbia l’Alzheimer è il prelievo del tessuto cerebrale seguito dalla sua analisi microscopica, grazie alla quale si osservano le alterazioni già descritte. Ciò è attuabile solo dopo la morte, quando viene fatta l’ autopsia, oppure con una biopsia cerebrale, cioè il prelievo di tessuto nel paziente vivo. Quest’ultima tecnica tuttavia non fa parte degli esami di routine, perché è invasiva.

I metodi di valutazione del soggetto utilizzati attualmente seguono le linee guida pubblicate nel 2011 (NIA-AA Criteria), un aggiornamento dei criteri usati fin dal 1984. Il procedimento diagnostico è composto da diverse fasi:

Inoltre, rispetto alle vecchie linee guida, i criteri del 2011 prevedono tre importanti cambiamenti, fatti con l’intento di rendere la diagnosi sempre più precoce e accurata :

Tra i diversi fattori oggetto di studi ci sono i livelli di β-amiloide e proteina tau

nel liquido cerebro-spinale.

Qual è l’importanza di una diagnosi precoce?

  • Si è ancora in tempo per comprendere ciò che il medico vuole spiegarci, così si possono prendere decisioni sul proprio futuro: si può stabilire dove andare a vivere; chi curerà i propri interessi economici; fare quel viaggio che non si è mai riusciti a fare, etc.

  • Si possono trarre tutti i vantaggi forniti dal trattamento farmacologico e dalla terapia di supporto

  • Si può contribuire al progresso scientifico, ad esempio partecipando a un trial clinico (se si risponde ai requisiti richiesti); oppure decidendo che il proprio cervello venga, dopo la morte, donato a chi studia l’Alzheimer.

Fatte queste premesse, vediamo quale percorso dovrà seguire una persona la quale, per via della propria o dei familiari preoccupazione, decide di chiedere un consulto medico.

Anamnesi.

È simile a un’intervista, che ha per oggetto la storia clinica del paziente, l’ambiente in cui vive e lavora, i farmaci che prende abitualmente etc. grazie alla quale il medico comincia ad orientarsi.

L’anamnesi mira a scoprire i disturbi cognitivi (ed eventualmente comportamentali) che stanno creando il problema, in che modo sono comparsi e come sono progrediti nel tempo ; viene compilata grazie al soggetto, quando è consapevole della situazione, ai familiari e altre persone care.

Circa il 75% dei malati di Alzheimer riferisce una perdita di memoria, che non è comparsa all’improvviso, ma è peggiorata gradualmente nel corso del tempo.

Esame obiettivo.

A questo punto il corpo del paziente viene ”interrogato”, per trovare qualche indizio di malattia.

L’esame è prima di tutto generale, quindi si valuteranno lo stato di cute e annessi cutanei (peli, capelli, unghie), si ausculterà il cuore e così via; successivamente si farà l’esame neurologico, atto a valutare lo stato del sistema nervoso. Con l’esame neurologico si controllano:

Nel malato di Alzheimer le abilità motorie sono inizialmente nella norma, poiché la compromissione avviene solo negli stadi avanzati.

La confusione e il disorientamento non sono imputabili a un difetto visivo, come la cataratta, o all’ipoacusia, cioè a un udito debole.

Test neuropsicologici.

Servono ad attestare se vi è un decadimento cognitivo e di che tipo. Un test molto diffuso è il Mini Mental Status Examination (MMSE), una valutazione da 30 punti, della durata di qualche minuto, sulle capacità di orientamento, memoria, calcolo, linguaggio, e abilità visuo-spaziali.

Il punteggio ottenuto va corretto usando degli appositi coefficienti di aggiustamento per età e livello di scolarizzazione: una persona normale ottiene il punteggio massimo, mentre una con demenza grave meno di 10 punti.

Il test può dare un risultato normale in alcuni pazienti di AD e in molti pazienti con MCI. In questo caso si dovrà procedere con dei test più complessi.

MMSE

Il medico sottopone la signora M. alle seguenti domande.

  • In che anno/stagione/mese/data/giorno siamo? (5 punti max)

  • In che nazione/regione/città/ospedale/piano siamo? (5 punti max)

  • Ripeta: “pane, casa, gatto”. (3 punti max. 6 tentativi disponibili)

  • Conti a ritroso da 100 a sette a sette: 93 - 86 - 79 - 72 - 65 (5 punti max)

  • Provi a sillabare la parola MONDO al contrario (Solo se non completa la sottrazione)

  • Ripeta i tre oggetti di poco fa (3 punti max)

  • Che oggetti sono questi? Matita - Orologio (2 punti max)

  • Ripeta la frase: “Tigre contro tigre” (1 punto max)

  • Prenda questo foglio con la sua mano destra; ora lo pieghi; e adesso lo poggi sul tavolo (3 punti max)

  • Legga la frase sul foglio (Chiuda gli occhi) e metta in pratica quanto ha letto (1 punto max)

  • Scriva una frase contenente soggetto e verbo (1 punto max)

  • Copi il disegno che le mostro (Due pentagoni che si intersecano) (1 punto max)

Valutazione psichiatrica.

È volta alla ricerca di cambiamenti della personalità, del comportamento, del ciclo sonno-veglia.

Solitamente il malato di Alzheimer appare depresso, ansioso, irritabile, poco propenso alla vita sociale. Gli altri disturbi menzionati in precedenza sono tipici delle fasi tardive del morbo.

Esami di laboratorio.

Poiché ci sono tantissimi test che potrebbero essere fatti per escludere altre forme di demenza, le indicazioni dell’ American Academy of Neurology sono:

Qualche anno fa è stato approvato l’utilizzo di un nuovo tracciante radioattivo, il Pittsburgh Compound B (PiB) in grado di mettere in evidenza l’accumulo di β-amiloide nel cervello. Al momento questa tecnica viene impiegata solo per scopi di ricerca.

Poiché è noto che la deposizione di aggregati proteici comincia ben prima dell’esordio clinico dell’Alzheimer, una volta che saranno disponibili delle terapie capaci di modificare la storia naturale della malattia, un esame come questo aiuterebbe a selezionare e a trattare i pazienti prima del deterioramento intellettivo.

Diversamente da quanto ci si aspetterebbe il test genetico non fa parte dell’iter diagnostico, a meno che il soggetto non abbia sviluppato la malattia precocemente. Il perché è presto detto: scoprire di essere portatori di un gene che determina l’Alzheimer, o che aumenta il rischio di ammalarsi, è una notizia con la quale non si può convivere serenamente.

Trattamento di questa patologia neurodegenerativa.

L’Alzheimer è una malattia al momento incurabile, perciò ogni piano terapeutico è costruito con l’intento di ritardare il più possibile il declino, con beneficio del malato e di chi l’assiste (caregiver).

La terapia dell’Alzheimer è organizzata su due livelli:

Trattamento farmacologico.

I farmaci in uso intervengono sui sintomi dell’Alzheimer. Avremo quindi dei farmaci che

Gli studi dimostrano che l’impiego di questi medicinali consente al paziente di mantenere inalterato il punteggio fatto con il test MMSE per parecchi mesi.

Tra le molecole che incrementano le prestazioni intellettive attualmente utilizzate vi sono:

Donepezil (Aricept)

Farmaco approvato per l’uso nei casi di demenza di Alzheimer di grado lieve e moderato.

Poiché impedisce la degradazione dell’ acetilcolina da parte dell’acetilcolinesterasi, la concentrazione di questo neurotrasmettitore aumenta nei circuiti neuronali grazie ai quali ricordiamo e pensiamo. Inoltre ha un effetto positivo in quei pazienti di AD con depressione.

Nonostante il donepezil sia ben capace di attraversare la barriera emato-encefalica, ha purtroppo degli effetti anche a livello periferico, in particolare a carico dell’apparato digerente, del cuore, dell’apparato respiratorio, dei muscoli scheletrici.

Aricept è associato ad effetti collaterali come:

  • nausea, vomito, diarrea, perdita di appetito

  • insonnia, oppure sonno poco riposante (dovuto a sogni particolarmente vividi)

  • crampi muscolari

  • convulsioni (solo in alcuni casi)

L’uso di questo farmaco è controindicato in chi:

  • ha sofferto di ulcera gastrica, o deve seguire una terapia con FANS (farmaci anti-infiammatori non steroidei, i quali possono favorire l’insorgenza di ulcere)

  • ha un’ aritmia cardiaca

  • soffre di asma o di BPCO (bronco-pneumopatia cronica ostruttiva)

  • soffre di epilessia.

Il donepezil è disponibile sia sotto forma di compresse che di cerotti a rilascio graduale.

Memantina (Ebixa)

Viene impiegata in quei casi di demenza di Alzheimer moderata e severa.

La molecola della memantina blocca i recettori NMDA del glutammato, i quali nell’AD vanno incontro a una iperattivazione (a causa dell’interazione con gli oligomeri di β-amiloide). Tale blocco non è permanente, dunque i recettori NMDA possono attivarsi quando arrivano i segnali del potenziamento a lungo termine.

Questo farmaco può dare effetti collaterali come:

  • emicrania

  • confusione e vertigini

  • costipazione.

È controindicato in chi soffre di epilessia, perché in alcuni casi provoca convulsioni.

Può interagire con altri farmaci, ad esempio quelli usati per

  • trattare il glaucoma (ad esempio acetazolamide)

  • la tosse, contenenti destrometorfano.

La memantina si assume per via orale; può anche essere impiegata in associazione con il donepezil.

Abbiamo già visto che l’altra componente della malattia è rappresentata dai disturbi psichiatrici, la prescrizione di farmaci per questi disturbi dovrebbe avvenire, se possibile, solo dopo aver provato a fare dei cambiamenti nell’ambiente nel quale il paziente vive e nell’atteggiamento di chi assiste nei confronti del malato.

Infine, se il soggetto soffre di crisi convulsive, si usano farmaci come la carbamazepina e la fenitoina.

Le conoscenze acquisite sulla malattia di Alzheimer hanno dato un forte input alla ricerca di molecole in grado di rallentare, fermare o addirittura prevenire il declino cognitivo. Nessuno di questi farmaci per ora è in commercio, poiché ognuno di essi, prima di essere approvato, deve superare numerosi test che ne attestino l’efficacia e la sicurezza.

MK8931

Inibisce la β-secretasi, uno degli enzimi che partecipano alla formazione della β-amiloide. Questo farmaco attualmente viene studiato in test clinici di fase 3, e sinora si è mostrato efficace, riducendo i livelli del peptide Aβ nei cervelli di soggetti con Alzheimer lieve e moderato.


Solanezumab

È un anticorpo monoclonale (tante molecole identiche) studiato per legarsi alla β-amiloide e, trasportando il peptide lontano dal cervello, inibire la formazione delle placche.

Diversi studi sono in corso per valutare il solanezumab: i partecipanti si sottopongono a dei test cognitivi, e alcuni di loro a un esame PET, che serve a misurare la concentrazione di β-amiloide.


AADvac1

È un vaccino. Ha il compito di stimolare il sistema immunitario nei confronti della forma anomala della proteina tau, responsabile della formazione dei grovigli.

Il farmaco è riuscito ad arrivare alla fase 1 della sperimentazione clinica, e sinora ha mostrato un buon profilo di sicurezza e tollerabilità.

Trattamento di supporto.

Potremmo definirlo come un insieme di strategie, messe in atto perché la persona affetta possa continuare a fare una vita dignitosa.

Vediamo quali accorgimenti si possono adottare per aiutare il malato di Alzheimer.

Cosa può avere più valore del racconto di un’esperienza fatta in prima persona?

Consigliamo la lettura del libro “ Visione parziale. Un diario dell’Alzheimer ”. È stato creato da un uomo affetto da Alzheimer, Cary Smith Henderson, un professore di Storia che ricevette la diagnosi precocemente. Nel libro sono riportate le sue riflessioni sulla malattia e sulla vita.

Ecco un piccolo estratto.

“Vogliamo che le cose vadano come prima. Ed è proprio questo che non riusciamo a sopportare, di non riuscire ad essere quello che eravamo… fa male da morire. E un’altra cosa che fa impazzire dell’Alzheimer è che nessuno vuole più parlare con noi. Forse ci temono… ma possiamo assicurare tutti: certamente l’Alzheimer non è contagioso.”

Aiutare con la musica

Saper seguire il ritmo, e cantare una melodia o una canzone sono abilità che resistono anche nelle fasi tardive dell’Alzheimer. La musica può influenzare positivamente il malato attraverso l’ascolto, il canto, l’improvvisazione strumentale e il ballo.

Ascolto

Ognuno di noi associa dei brani musicali ad emozioni e avvenimenti. Grazie all’ascolto di pezzi della propria infanzia e giovinezza, una persona riesce a ricordare ciò che quei brani rappresentano. Attenzione, però: solo le associazioni positive fanno bene, dunque, se si irrigidisce, fa smorfie, si torce le mani etc. bisogna interrompere subito l’ascolto.

Una volta venuti a conoscenza dei gusti del soggetto, la musica può essere usata per scandire le varie fasi della giornata:

  • per evitare che il soggetto trascorra le ore diurne appisolato si può mettere della musica con un effetto stimolante, che lo mantenga vigile

  • per impedire che venga colto dalla sindrome del tramonto (sundowning) si può usare invece della musica rilassante.

Sempre a proposito di associazioni, se il malato aveva l’abitudine di ascoltare uno specifico genere musicale durante le sue attività (riassettare la casa, occuparsi del giardino…) ascoltare brani di quel genere potrebbe aiutarlo a svolgere quelle attività in modo corretto.

Infine, un sottofondo ritmato migliora l’equilibrio e la coordinazione motoria in chi ha difficoltà deambulatorie.

Occorre tener presente che tenere la musica a un volume troppo alto, o avere in casa delle fonti di disturbo (ad esempio la TV accesa) possono diminuire l’efficacia dell’intervento.

Canto

La maggior parte delle persone ha dei motivetti o intere canzoni che ha imparato a memoria. Eseguire queste canzoni non richiede i processi cognitivi che l’Alzheimer distrugge.

È stato dimostrato che cantare “accende” numerose aree cerebrali, quindi è un ottimo esercizio per la mente. Inoltre dona sicurezza, e permette di esprimere le emozioni che associamo a quei pezzi.

Improvvisazione strumentale

Se il soggetto aveva la passione per uno strumento lo si può incoraggiare a suonarlo, oppure se ne può comprare uno (non bisogna pensare a strumenti costosissimi, anche un semplice xilofono andrebbe bene).

L’improvvisazione consiste nel suonare ciò che ci passa per la testa. Se mettiamo due persone davanti allo stesso strumento, non potranno mai produrre la stessa sequenza ritmica o melodica, perché ognuno di noi è unico. L’improvvisazione è una manifestazione dell’identità del paziente, un modo per mantenere il contatto con se stesso.

Ballo

Reagire alla musica con il movimento, sia che il soggetto danzi con i suoi cari, sia che tenga solo il tempo (se è costretto a letto o su una sedia a rotelle) riduce l’agitazione e può risvegliare la capacità di fare gesti affettuosi nei confronti dei suoi cari, cosa che renderà tutti più felici.

Informazioni Sugli Autori:

Consulente Scientifico:
Dottoressa Jessica Zanza
(Specialista in farmacia)

Consulente Scientifico:
Giada Zanza
(Specialista in medicina e chirurgia)

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